Dentro la Ricerca: come e per quanto tempo il vaccino ci protegge dall'infezione da SARS-COV-2

Anticorpi e Cellule della memoria, la Dott.ssa Rita Carsetti ci illustra i risultati della Ricerca

Con il progetto "Sviluppo e performance delle cellule B della memoria nei soggetti vaccinati per SARS-CoV-2" abbiamo studiato la risposta al vaccino di una parte degli operatori sanitari del nostro ospedale che sono stati vaccinati tra dicembre e gennaio 2021 con le due dosi Pfizer a distanza di tre settimane l’una dall’altra.

Con il nostro studio volevamo capire da un lato quando inizia a svilupparsi la risposta immunitaria dopo il vaccino e, dall’altro, la durata che ha, una volta instaurata. L’obiettivo era quello di trovare la risposta a una domanda: quanto e come siamo protetti dalla malattia?

Per rispondere a questo quesito abbiamo studiato soprattutto la risposta delle Cellule B, perché sono cellule che producono gli anticorpi neutralizzanti, che riescono a prevenire l'infezione in quanto legano la proteina Spike del virus, bloccandola.

Se, infatti, il virus ha la proteina Spike “coperta” dall’anticorpo, non riesce ad attaccarsi ai recettori e di conseguenza non può invadere le nostre cellule. È questo il motivo per cui ci vacciniamo usando questa proteina: per impedire al virus di entrare nelle cellule.

Misurare gli anticorpi e misurare le cellule della memoria presenta una sostanziale differenza. Quando ci si vaccina si sviluppano sempre nell’immediato tanti anticorpi, come se ci fosse un’infezione in corso. Il livello così alto raggiunto dagli anticorpi immediatamente dopo il vaccino però, non si mantiene stabile. Immediatamente dopo l’immunizzazione gli anticorpi vengono prodotti da cellule che si chiamano  plasmablasti e hanno una vita breve – circa due settimane . Una piccola parte dei plasmablasti si differenzia in plasmacellule, che si sedimentano nel midollo e vi rimangono per tutta la vita. Da lì produrranno una minore quantità di anticorpi rispetto a quella del picco post vaccinale.

Chi rimane allora a proteggerci dalle infezioni, una volta che il picco si abbassa?
Le cellule della memoria, sia T che B.

Le cellule B della memoria sono importanti perché producono anticorpi solo all’occorrenza; hanno un recettore sulla superficie uguale all’anticorpo e solo quando interagiscono con il virus si attivano.

Prima si moltiplicano e producono tanti plasmablasti nuovi a vita breve per aumentare il livello degli anticorpi nel sangue, poi danno luogo a una risposta immunitaria anche localizzata nel sito di infezione. Infatti le cellule B della memoria (come le cellule T della memoria) hanno la capacità di migrare nei siti dove è in corso l’infiammazione e quindi non creano anticorpi solo nel sangue, ma dove servono di più per bloccare l’invasione virale.

Con il nostro studio abbiamo analizzato i sieri fino a 9 mesi dopo la vaccinazione e abbiamo visto che mentre gli anticorpi scendono in maniera significativa, le cellule della memoria aumentano a partire dalla seconda dose e continuano ad aumentare fino a 9 mesi dopo la somministrazione del vaccino.

Appurato che le cellule della memoria aumentano, dovevamo capire se funzionano da protezione.

In teoria, quando incontrano il virus, le cellule B della memoria dovrebbero moltiplicarsi, generare nuovi plasmablasti per  aumentare il livello degli anticorpi nel sangue e anche andare a proteggere la mucosa respiratoria che il virus sta invadendo.

Per valutare l’efficienza delle cellule B delle memoria, abbiamo studiato la loro reazione nel sangue dei  nostri colleghi che, nonostante fossero stati vaccinati, hanno avuto il tampone positivo. In risposta al virus nel nasofaringe, le cellule della memoria hanno fatto proprio quello che ci aspettavamo. Rapidamente, in 3-4 giorni, sono aumentate di numero, hanno prodotto grandi quantità di anticorpi anti-Spike nel sangue, e sono anche andate a fare gli anticorpi anti-Spike nella saliva per combattere il virus nel sito di invasione e prevenire la sua diffusione ai polmoni. Tutti i nostri operatori sanitari sono stati asintomatici o hanno avuto sintomi lievi proprio perché la memoria immunologica generata dal vaccino si è immediatamente attivata. In quasi tutti i casi le infezioni erano dovute alla variante delta., ma sono state perfettamente controllate dal vaccino.

Il nostro studio dimostra che la memoria immunologica generata dal vaccino non diminuisce rapidamente dopo pochi mesi. Allora perché ci possiamo infettare ugualmente e ci infettiamo di più dopo 6 mesi dalla seconda dose? I motivi sono due. Il primo è che mentre, immediatamente dopo la vaccinazione, abbiamo tanti anticorpi nel sangue che in parte arrivano anche nelle mucose, quando il livello degli anticorpi, dopo il picco, si abbassa nel siero, diminuisce anche nelle mucose. Il secondo problema è che le cellule della memoria generate dal vaccino non possono sapere che per una difesa ottimale si devono localizzare nella mucosa del nasofaringe. Ci vanno solo dopo che le sostanze infiammatorie prodotte localmente in reazione al virus, chiamate chemochine, le richiamano dal sangue. Se avessimo un vaccino mucosale, da somministrare come terza dose in forma spray per esempio, ci assicureremmo, oltre alla protezione sistemica, anche quella locale.

La certezza che le cellule della memoria funzionassero e sapessero migrare in risposta all’infiammazione l’avevamo già avuta quando eravamo andati a vedere gli anticorpi nel latte mamme vaccinate durante l’allattamento. Avevamo trovato che queste donne avevano gli anticorpi anti-Spike non solo nel sangue, ma anche nel latte, e quindi li passavano al loro bambino. Per avere gli anticorpi nel latte le tue cellule della memoria e le plasmacellule devono migrare alla mammella. Questo succede perché durante l’allattamento è come se nella mammella ci fosse un’infiammazione che produce le chemochine infiammatorie capaci di attrarre le cellule della memoria. Durante l’allattamento, vengono attratte alla mammella non solo le cellule della memoria, ma anche le plasmacellule che stanno nelle vie respiratorie e nell’intestino della madre. Tutte queste cellule riversano i loro anticorpi nel latte per proteggere il bambino dai microrganismi che la madre ha già incontrato.

È quello che è avvenuto anche nel caso delle mamme vaccinate contro SARS-CoV-2, che hanno passato i loro anticorpi ai figli con il latte.

Ora stiamo misurando la risposta alla terza dose. I risultati preliminari ci mostrano che è potentissima e aumenta sia il numero delle cellule della memoria che gli anticorpi.

Stiamo seguendo un progetto che coinvolge pazienti con la talassemia e tutti i pazienti fragili. C’è uno studio italiano in corso e noi parteciperemo studiando la risposta al vaccino anche in quei pazienti che sono immunosoppressi, magari per una chemioterapia, o trapianti d’organo solido – rene o fegato – che non rispondono come tutti gli altri alla vaccinazione. Sarà importante misurare le cellule della memoria perché abbiamo visto che in alcuni di questi casi la produzione di anticorpi non si associa l’aumento delle cellule della memoria. Questo vuol dire che, nel caso di infezione, i pazienti non potrebbero mettere in atto nessun tipo di difesa né sistemica né locale e quindi per loro la scelta terapeutica migliore sarebbe la immediata somministrazione di anticorpi monoclonali capaci di eliminare il virus.

3/1/2022

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