L'impegno dell'Africa nella lotta contro il Coronavirus

L’Africa non ha intenzione di stare alla finestra a guardare rispetto alla perniciosa pandemia COVID-19. A tale proposito, come riferito sul sito istituzionale di Amref Italia è sempre più forte «la consapevolezza che il continente africano debba essere coinvolto nella sperimentazione di nuove terapie e vaccini anti-COVID-19, a livello nazionale e locale», avviando un percorso operativo «che garantisca a tutto il continente un accesso tempestivo ed equo al vaccino, una volta ottenuta l’approvazione». Secondo il Dottor Richard Mihigo, Direttore Programmi Malattie Prevenibili dell’Ufficio Regionale dell’Africa, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), «per fare in modo che l’immunizzazione sia efficace a livello continentale, il 60% della popolazione africana dovrebbe sottoporsi al vaccino».

 

Non sarà facile conseguire questo traguardo e sono certamente molte le difficoltà da superare, legate in gran parte alla debolezza del sistema sanitario continentale: dalla carenza di personale sanitario, alla scarsità di strutture mediche, per non parlare delle difficoltà di comunicazione, soprattutto nelle zone periferiche.  Dal punto di vista politico, a livello internazionale, sono numerose le cancellerie che si stanno adoperando nell’affermare quella che è stata definita in gergo giornalistico la cosiddetta «Diplomazia Sanitaria»: dalla Russia, alla Turchia, dagli Stati Uniti, alla Francia; dalle petromonarchie del Golfo, alla Cina. Da rilevare, in particolare, l’impegno del governo di Pechino che, com’è noto, vanta notevoli interessi commerciali nel continente africano. Il presidente Xi Jinping ha infatti promesso che continuerà a essere solidale con i paesi in via di sviluppo, particolarmente quelli africani, negli sforzi volti a sconfiggere la pandemia.

 

Nel frattempo, 13 paesi africani e una rete internazionale di istituti di ricerca hanno infatti unito le loro forze per lanciare uno studio clinico specifico su pazienti ambulatoriali affetti da infezioni lievi o moderate, diagnosticate nella cosiddetta fase precoce, così da prevenire picchi di ospedalizzazione che potrebbero sopraffare i sistemi sanitari fragili e già sovraccarichi in Africa.

 

La sperimentazione clinica, denominata ANTICOV mira a rispondere all’urgente necessità di identificare trattamenti che possono essere utilizzati in questi casi. La sperimentazione clinica sarà condotta in 19 siti in 13 paesi su 2.000-3.000 pazienti non ricoverati dal consorzio ANTICOV che comprende 26 importanti organizzazioni di ricerca e sviluppo (R&S) africane e globali, coordinate dalla Drugs for Neglected Diseases iniziative (DND i), un’organizzazione internazionale no-profit di ricerca e sviluppo di farmaci con ampi partenariati in Africa. L’intento dichiarato degli studiosi è quello di rilevare se una cura precoce può prevenire l’evoluzione della malattia, dal punto di vista clinico, verso manifestazioni più severe. Condotto da medici africani, lo studio servirà a rispondere a un quesito sempre più impellente: con i reparti di terapia intensiva numericamente limitati in Africa, è possibile curare i pazienti affetti da COVID-19 per impedire che le strutture ospedaliere vengano sopraffatte dall’emergenza sanitaria?

 

I paesi che sono stati individuati per testare la sicurezza e l’efficacia dei trattamenti sono: Burkina Faso, Camerun, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo (DRC), Guinea Equatoriale, Etiopia, Ghana, Guinea, Kenya, Mali, Mozambico, Sudan e Uganda. Stando ai dati ufficiali dell’Africa Centers for Disease Control and Prevention (AFRICA CDC), agenzia di sanità pubblica dell’Unione Africana (UA) per supportare le iniziative di salute pubblica degli Stati membri, attualmente i casi registrati nel continente africano (dati pubblicati sul sito Africa CDC il 10 dicembre 2020) sono circa 2.3 milioni, mentre i decessi quasi 55mila e le guarigioni circa due milioni. Considerando che la popolazione africana è di oltre un miliardo 300milioni di abitanti è evidente che, almeno stando alle cifre ufficiali, l’Africa sta manifestando una discreta resilienza rispetto ad altri continenti come quello europeo.

 

È noto infatti che nella stragrande maggioranza dei paesi africani vi è una scarsa disponibilità diagnostica, quindi, per quanto lodevoli possano essere gli sforzi profusi in questi mesi dalle autorità sanitarie locali, il numero dei tamponi non è stato elevato. Rimane pertanto qualche dubbio sia sulla realtà dei numeri effettivi della pandemia che sulla tracciabilità dei contagi. Inoltre, la denuncia dei decessi non si fonda in molti casi su sistemi anagrafici simili a quelli occidentali, per cui se già prima della pandemia morivano nell’abbandono non poche persone, non è da escludere del tutto che tante altre si siano spente nell’oblio a seguito del CORONAVIRUS.  Ad assoluto vantaggio dell’Africa va il fatto che l’età media della sua popolazione è 20 anni, un’età in cui generalmente non si muore di COVID-19, tanto è vero che, se l’età media dei morti in Italia è 82 anni, in Kenya, ad esempio, è di 50 anni. Attualmente, il 93% dei casi accertati nel continente africano risulta essere asintomatico.

 

Secondo alcuni esperti, vi è poi da considerare che quote significative della popolazione, particolarmente in alcuni paesi, sono sottoposte al flagello di una lunga serie di malattie endemiche come quelle Tropicali Neglette (MTN), oltre all’AIDS, la Tubercolosi (TBC) e la malaria. Un simile contesto potrebbe garantire una risposta immunitaria superiore a quella riscontrata in Europa o negli Stati Uniti. In una dichiarazione rilasciata sul sito istituzionale dalla Drugs for Neglected Diseases iniziative (DND i), il dottor John Nkengasong, direttore dell’Africa CDC, ha rilevato che «finora i paesi africani hanno risposto in modo ragguardevole al COVID-19 ma ora è il momento di prepararsi per le future ondate della malattia». 

 

Stando a quanto ufficializzato dal DND i, inizialmente, il programma ANTICOV si concentrerà su farmaci in cui gli studi clinici randomizzati su larga scala potrebbero fornire dati di efficacia mancanti in pazienti con lieve sintomatologia. La ricerca inizierà a testare, dal punto di vista farmacologico, la combinazione antiretrovirale HIV lopinavir / ritonavir e il farmaco contro la malaria idrossiclorochina, che rimane lo standard di cura per il COVID-19 oggi in numerosi paesi africani.

I principali finanziamenti per il consorzio ANTICOV sono stati erogati dal Ministero federale tedesco dell’Istruzione e della ricerca (BMBF) attraverso l’Istituto di Credito per la Ricostruzione (Kfw) e dall’agenzia per la salute mondiale Unitaid con sede a Ginevra. Il supporto per il lancio dell’iniziativa è stato invece messo a disposizione dalla European & Developing Countries Clinical Trials Partnership (EDCTP), nell’ambito del suo secondo programma sostenuto dall’Unione Europea (UE) con finanziamenti aggiuntivi dal governo svedese e dalla Svizzera Starr International Foundation. È evidente, comunque, che il programma ANTICOV non può prescindere dagli sforzi della comunità internazionale per garantire all’Africa quanto prima il diritto sacrosanto alla vaccinazione delle popolazioni autoctone africane contro il COVID-19. Un diritto a cui si associa quello più estensivo della cosiddetta Universal Health Coverage (“copertura sanitaria universale”) tenendo conto dei determinanti sociali della salute come il reddito, l’istruzione, l’alimentazione, l’abitazione e il lavoro.


A significare che non ci si può limitare alla clinica ed alla cura prescindendo dal presupposto indispensabile della giustizia sociale.

21/1/2020

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