Discernimento in tempo di Pandemia

Riflettere per essere solidali con tutti

Abbiamo chiesto a padre Giulio Albanese, che i frequentatori del nostro sito ben conoscono per i suoi articoli sui problemi del continente africano, di proporci una riflessione sulla responsabilità e sulla solidarietà in tempi di pandemia. Ecco il suo contributo che volentieri pubblichiamo.

Nessuno dispone di una sfera di cristallo per leggere il futuro, ma fin d’ora è chiaro che il mondo, inteso come società globalizzata, sarà molto diverso da come lo abbiamo lasciato alla vigilia del famigerato Coronavirus. In questo scenario inedito si conferma quanto da tempo e in più circostanze, ben prima della pandemia, ha delineato e sostenuto Papa Francesco, rivolgendosi a credenti e non credenti: questa  non è «un’epoca di cambiamenti», ma «un cambiamento d’epoca».

Il Coronavirus – dobbiamo riconoscerlo - sta cambiando il mondo a meridione e a settentrione, ad oriente e ad occidente, dunque anche nel nostro Paese, con conseguenze a lungo termine il cui esito dipenderà dai nostri comportamenti e dalla nostra capacità organizzativa. Alcuni temono che le diseguaglianze si acuiranno a dismisura, mentre altri sperano che emerga un mondo migliore. Abbiamo pertanto tutti la sacrosanta responsabilità di operare un sano discernimento con l’intento dichiarato, come dice spesso il Pontefice, di preservare la «Casa Comune» che è di tutti.

A questo proposito è illuminante e provocatoria la riflessione del compianto Carlo M. Cipolla (Pavia, 15 agosto 1922 – Pavia, 5 settembre 2000), un grande accademico italiano del Novecento, docente di storia economica. Cipolla si divertì ad approfondire il tema della stupidità umana nel suo libello intitolato The Basic Laws of Human Stupidity (stampato per la prima volta nel 1976 come regalo di Natale per gli amici), poi pubblicato in italiano nel 1988 come Allegro ma non troppo (il Mulino) e tradotto in almeno 13 lingue. Cipolla descrisse lo stupido in modo molto efficace: «una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita». Avvalendosi di un nutrito corredo di grafici e della consueta propensione alla scoperta di uniformità che muove la ricerca degli economisti, Cipolla definì le Leggi fondamentali della stupidità umana, da cui emerge la nostra sottovalutazione, da una parte, del numero di individui stupidi in giro per il mondo e, dall’altra, della loro pericolosità, della loro capacità di fare sistema e di come, inoltre, la probabilità d’essere stupidi risulti indipendente da qualsiasi altra caratteristica umana.

Le osservazioni di Cipolla vennero ulteriormente sviluppate da Giancarlo Livraghi (Milano, 25 novembre 1927 – Milano, 22 febbraio 2014) ne Il potere della stupidità. Con molta schiettezza egli ammise che «non possiamo sconfiggerla del tutto, perché fa parte della natura umana. Ma i suoi effetti possono essere meno gravi se sappiamo che c’è, capiamo come funziona, e così non siamo presi del tutto di sorpresa». Da qui l’urgenza di studiare la «Stupidologia». Si trattò del tentativo «di spiegare perché le cose non funzionano – e quanto ciò è dovuto alla stupidità umana, che è la causa di quasi tutti i nostri, grandi o piccoli, problemi. E anche quando la causa non è la stupidità le conseguenze peggiorano perché sono stupide le nostre reazioni e i nostri tentativi di soluzione».

Il concetto fondamentale è che, se riusciamo a renderci conto di come funziona la stupidità, possiamo controllarne un po’ meglio le conseguenze. «La stupidità – scriveva sempre Livraghi – è la più grande forza distruttiva nella storia del genere umano. Non è eliminabile, ma non è invincibile. Capirla e conoscerla è il modo migliore per ridurne gli effetti». Per questo motivo, tornando al ragionamento di partenza, la vera sfida, guardando al futuro, per credenti e non credenti, è quella di contrastare il pensiero debole contemporaneo, la stupidità appunto, affermando il discernimento di cui sopra tanto caro a Papa Francesco e alle menti illuminate.

Le diseguaglianze tra ricchi e poveri e più in generale la cosiddetta esclusione sociale esigono un impegno fattivo da parte delle agenzie educative per inaugurare una nuova stagione, quella della consapevolezza. Proprio come scrive Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia. Si tratta di «formare le coscienze», non «di pretendere di sostituirle» (AL 37). Occorre davvero tornare ad essere menti pensanti, operando un sano discernimento sulla verità dei fatti. Il verbo discernere, è da ricondursi al latino «dis-cèrnere» (dis = due volte + cèrnere = separare), quindi letteralmente «separare due volte, separare con attenzione»; in senso più ampio, «giudicare, stimare, soppesare, valutare». Pertanto il discernimento è la capacità di valutare qualcosa o qualcuno. Importantissima virtù della saggezza, è di fatto poco praticata, soprattutto nelle scelte orientate al bene condiviso. Essa rappresenta la capacità di ridurre e scindere il complesso in parti minute, valutandolo in maniera completa, con grande cognizione. Così servirà discernimento per riconoscere le tensioni e giudicare l’operato di qualcuno nelle situazioni più svariate. Si tratta di un processo di decodificazione, fondamentale per rendere intelligibile la realtà personale e collettiva in un mondo che cambia.

Perché ciò sia possibile è necessario il tracciamento di una Road Map che ci possa consentire di guardare al futuro con speranza. Il metodo richiede la definizione di una griglia incentrata su tre quesiti che trovano il loro fondamento nel cosiddetto «cambiamento d’epoca» di cui parla papa Francesco. 1) Ci sono cose (attività, scelte, iniziative…) che abbiamo sempre fatto, che appartengono al nostro modus vivendi e che nel post-Coronavirus non potremo più fare. Quali sono? 2) Ci sono cose che abbiamo fatto in passato, forse senza molta convinzione, ma che dopo il Coronavirus dovremo decisamente fare meglio. Quali sono? 3) Ci sono cose che non abbiamo mai fatto (neanche osato pensare) e che nel post-Coronavirus dovremo ottimizzare, esprimendo al massimo la nostra fantasia e immaginazione. Quali sono?

Nel rispondere teniamo conto di tutti gli ambiti della nostra vita in cui la dimensione della carità viene esercitata. Tutto questo nella consapevolezza che il «discernimento» ci deve portare ad affermare la gratuità, nella consapevolezza, come leggiamo negli Atti degli Apostoli, che «c’è più gioia nel dare che nel ricevere».
 

Il nostro augurio, come Fondazione Bambino Gesù, è che ognuno di noi possa non solo dare risposte concrete a questi quesiti, a livello personale e collettivo, ma sia anche in grado, poi, di passare ad una fase attuativa per espandere la solidarietà ovunque nel proprio territorio, nel mondo e dunque anche nelle corsie dei nostri ospedali pediatrici.

11/5/2021

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