Le Malattie Rare tra conquiste del passato e scenari futuri

Cosa abbiamo imparato negli ultimi 25 anni e cosa accadrà a livello globale: le riflessioni del Professor Bruno Dallapiccola

Cosa abbiamo imparato negli ultimi 25 anni e cosa ci attende in futuro, non solo nel nostro Paese, ma a livello globale sono le domande a cui il Professor Dallapiccola vuole dar risposta attraverso una breve riflessione sulle malattie rare, che analizza i numeri, il percorso diagnostico, la ricerca, la formazione.

QUALI SONO I NUMERI DELLE MALATTIE RARE? 

I numeri, dai quali “ abbiamo appreso molto ” sono che a fronte delle 6-7 mila malattie rare che normalmente vengono citate come conosciute , recenti evidenze riportano invece numeri significativamente più alti. Uno studio del 2020, basato sul confronto dei 5 database più informativi dedicati a queste malattie, ha fissato il loro numero in 10.393, mentre un altro, del 2022, suggerisce l’esistenza di almeno 12.000 malattie rare. Anche la numerosità dei pazienti è molto elevata, configurando un problema sanitario di dimensioni sociali, dato che sarebbe interessato tra il 3% e il 6% della popolazione.

Nel tempo abbiamo imparato a conoscere le dimensioni mediche, sociali ed anche economiche di queste malattie, che sono spesso gravi, sistemiche, croniche e progressive. Solo circa un terzo di esse non incide significativamente sulle attese di vita, mentre il 37% riduce variabilmente le attese e il 26% è letale nei primi 5 anni. La maggior parte delle malattie rare sono ultra-rare o iper- rare, secondo una recente definizione: l’85% di esse ha, infatti, una frequenza inferiore a un caso per milione, mentre le 150 malattie più comuni spiegano circa l’80% dell’intera comunità dei “rari”.

E L’ITER DIAGNOSTICO? 

Il percorso di cura che i malati rari e le loro famiglie devono affrontare: è caratterizzato generalmente da una drammatica odissea diagnostica fatta di ritardi, errori e impossibilità di avere una diagnosi. Le tempistiche per ottenere la diagnosi si aggirano mediamente sui 5 anni. Oltre un terzo dei pazienti, inoltre, ha una diagnosi iniziale sbagliata, mentre la diagnosi non viene formulata nel 6% dei malati rari globalmente considerati, con percentuali del 50% e oltre nel caso dei pazienti pediatrici con disabilità mentale e quadri dismorfici.

Abbiamo però capito che oltre l’80% delle malattie rare ha una base genetica, e pertanto le tecnologie sviluppate nel contesto della rivoluzione genomica, in particolare il sequenziamento di nuova generazione, offrono strumenti di prima scelta nell’accelerare i tempi della diagnosi, che oggi viene risolta in circa due terzi dei pazienti senza diagnosi.

Progressi straordinari sono stati fatti nel campo dell’organizzazione della Rete regionale e nazionale, con 223 Centri di competenza, 88 dei quali lavorano in un regime di eccellenza e ospitano al loro interno 333 Centri ERN (European Reference Network). In pratica, l’Italia possiede un quinto dei Centri di eccellenza della rete europea delle malattie rare.

QUALE È IL RAPPORTO TRA MALATTIE RARE E RICERCA? 

Bisogna evidenziare i progressi straordinari compiuti nella ricerca: negli ultimi 10 anni infatti sono state scoperte oltre 1.000 nuove malattie e sono state trovate nuove cure. La disponibilità dei farmaci orfani è cresciuta a livello mondiale, con 8 milioni di dosi distribuite lo scorso anno, per un valore complessivo di circa 200 miliardi di dollari. Sono aumentate anche le sperimentazioni cliniche e in questo ambito l’Italia è all’avanguardia, dopo gli Stati Uniti, la Francia e il Canada. Infatti, circa un terzo delle sperimentazioni farmaceutiche nel nostro Paese riguarda le malattie rare.

QUANTO SONO IMPORTANTI LE ASSOCIAZIONI DEI PAZIENTI E LA FORMAZIONE

Molto importante è diventato il ruolo trainante delle associazioni dei pazienti che, secondo l’ultimo censimento di MonitoRare, in Italia sono almeno 670. È cresciuta negli anni la disponibilità di informazioni: dopo il lavoro pioneristico svolto alla fine degli anni ‘90 da Orphanet, la cui interfaccia italiana ha ancora oggi 2 milioni e 700 mila visitatori ogni anno, si sono consolidate le esperienze del Telefono Verde e dei numerosi siti delle Associazioni, delle Istituzioni e degli Ospedali, nonché del Ministero della Salute/ISS, che forniscono aggiornamenti su questo tema.

Sulla formazione, nel 2021 sono stati effettuati 49 corsi ECM e 32 FAD sulle malattie rare. Dal 2016 nel nostro Paese è stato implementato lo screening neonatale esteso e, lo scorso novembre, è stato varato il cosiddetto “Testo Unico” per le malattie rare, che per la prima volta ha messo questo tema concretamente all’attenzione della politica. Nel mese di dicembre 2021, è stata emanata la prima Risoluzione ONU a favore delle persone con malattie rare: un documento bene articolato che guarda a tutto campo a questa tematica, con un focus significativo sugli aspetti sociali. Non ultimo abbiamo compreso l’importanza e il ruolo della famiglia e dei fratelli.

COSA C’Ѐ DA FARE: EPIDEMIOLOGIA, MEDICINA DI GENERE, POTENZIAMENTO DELLA RICERCA 

Resta, tuttavia, ancora molto da fare. Un primo aspetto da definire è quello epidemiologico: un tema molto complesso, perché non esiste una definizione univoca di malattia rara a livello internazionale: si va da meno di 1 caso ogni 2.000 soggetti in Europa a meno di 1 su 20.000 in Corea. Se non si farà chiarezza sulle definizioni non si potrà sapere con certezza quanti sono i malati rari. Uno slogan, ripreso anche dal documento dell’ONU e da alcuni documenti europei, recita: “Leave no one behind”, cioè nessun malato raro deve essere lasciato indietro. È necessario però capire in quale maniera potrà essere gestita una questione così importante. È urgente, in ogni caso, superare le diseguaglianze territoriali: è stato spesso ricordato come la regionalizzazione della sanità sia fortemente penalizzante per molti malati rari. Sarà doveroso prendersi cura attivamente di quel 95% delle malattie rare che ancora non dispongono di terapie efficaci: una questione, questa, che si intreccia con il problema della sostenibilità, perché molti farmaci innovativi, soprattutto basati sulle terapie cellulari, ma non solo, sono altamente costosi.

L’Health Technology Assessment (HTA) delle malattie rare dovrà prendere in considerazione non solo l’effetto terapeutico, ma anche la qualità della vita dei pazienti: è necessario quindi integrare il sistema sociale con quello sanitario. Occorre, inoltre, aumentare la partecipazione dei pazienti nei processi decisionali che li riguardano, coinvolgendoli a tutti i livelli: anche se molte cose si sono mosse negli ultimi anni in questa direzione, molto resta da fare. È indispensabile e non più dilazionabile l’implementazione delle analisi genomiche nella pratica clinica e nei LEA. Inoltre, è necessario allargare ulteriormente il pannello dello screening neonatale esteso, pur sottolineando che l’Italia è all’avanguardia in questo campo rispetto agli altri Paesi europei.

E LA MEDICINA DI GENERE? 

Questo è un altro tema di cui si parla poco e che è stato lasciato indietro, quello della medicina di genere: è necessario comprendere perché e le modalità con le quali alcune malattie rare colpiscono in maniera diversa i due sessi: approfondire questo aspetto significa riuscire ad offrire ai pazienti cure più precise. Un impegno organizzativo importante riguarda la gestione della transizione dei pazienti dall’età pediatrica all’età adulta, una questione per la quale sono al momento disponibili pochi modelli, ma che richiede interventi dedicati non più dilazionabili, anche in considerazione dell’allungamento delle attese di vita di molte malattie.

E PER IL FUTURO?

C’è la necessità di potenziare la ricerca, a cui l’Italia oggi destina solo l’1,5% del Pil, anche se il contesto e il quadro economico non consente al momento di essere ottimisti nel prossimo
futuro. È necessario dare attuazione al Testo Unico per le malattie rare, attraverso i decreti che dovevano essere emanati entro il mese di maggio del 2022.

Infine, è necessario allineare il Piano nazionale con le attività svolte a livello europeo e alle raccomandazioni internazionali, comprese quelle dell’IRDiRC, il Consorzio internazionale
della ricerca sulle malattie rare, che si è prefissato l’obiettivo di dare ad ogni paziente affetto da una probabile malattia rara la diagnosi e la cura più appropriata entro un anno da quando
giunge per la prima volta all’attenzione del medico. Un limite temporale ridotto ulteriormente a sei mesi da “Rare 2030”.

22/3/2023

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