Farsi prossimo

Padre Giulio Albanese, ci invita ad una riflessione sul reale valore della solidarietà

L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ha un’indiscutibile vocazione cristiana perché risponde per mandato alle istanze evangeliche nei confronti dei più deboli, i bambini ammalati. Molti di loro provengono dall’Italia, alcuni da terre geograficamente lontane, quelle che papa Francesco definisce «Periferie del Mondo». Si tratta di un tema che andrebbe approfondito perché molta gente, nella Vecchia Europa e dunque anche in Italia, si dice cristiana – più o meno in buonafede - senza aver la benché minima conoscenza della teologia, poco importa che si tratti delle Sacre Scritture o della Dottrina Sociale della Chiesa. 

Questo è un fenomeno sintomatico del deficit di formazione, a livello soprattutto di catechesi, che riguarda molte comunità di credenti o presunti tali. Ad esempio, il valore della solidarietà, che rappresenta uno dei pilastri fondamentali del Cristianesimo e che sta molto a cuore al personale del nostro ospedale pediatrico, a volte, è oggetto di fraintendimenti. Basta accendere la televisione, ascoltare la radio, sfogliare i giornali o navigare in internet, per rendersi conto che le interpretazioni attribuite a questa parola sono le più svariate. Molti, infatti, ritengono una qualsivoglia persona «prossima» rispetto alla sua effettiva vicinanza geografica. Ergo: «ama il prossimo tuo, quello nella tua prossimità». Poi ovviamente, se tutti stanno bene e sono stati messi nelle condizioni di vivere bene, allora si potrà aiutare chi ha effettivamente bisogno in giro per il mondo. Detto così, sembrerebbe un ragionamento logico, in relazione soprattutto alla vexata quaestio della mobilità umana e dell’integrazione culturale, in un Paese come il nostro, o più in generale nella cornice del Vecchio Continente. 

Peccato però che Nostro Signore Gesù Cristo, duemila anni fa, predicando a Gerusalemme e dintorni, nella celebre parabola del Buon Samaritano - ampiamente citata da papa Francesco nel suo illuminato magistero - abbia letteralmente ribaltato il senso ed il significato del sostantivo «prossimo», almeno così come è comunemente inteso nel sentire nostrano. Proviamo allora a riflettere insieme su questa parabola che troviamo nel vangelo di Luca (10, 25-37). Alla domanda di un Dottore della Legge su chi fosse il suo «prossimo», Gesù risponde operando un vero e proprio decentramento narrativo. C’è da considerare che a quei tempi, in Palestina, vi era un acceso dibattito tra le scuole rabbiniche su chi fosse il «prossimo». Si andava dalla concezione più ristretta, «il prossimo è soltanto colui che appartiene al mio clan familiare o alla mia tribù», a quella più estensiva, giudicata quasi eretica – noi oggi diremmo “buonista” - che includeva nel prossimo anche lo straniero che abitava dentro i confini di Israele. In termini generali, potremmo comunque dire che allora, nel mondo ebraico, il prossimo era colui che era oggetto dell’amore. Mentre per Gesù l’interpretazione è radicalmente diversa. 

Tutti ricorderanno che nella parabola lucana si parla di un poveretto che era incappato nei briganti, durante un viaggio da Gerusalemme a Gerico, rimanendo sulla strada mezzo morto. Ebbene, sia il sacerdote che il levita, stando al racconto, passarono oltre, dunque non lo soccorsero, mentre il buon samaritano, leggiamo nel testo: «Lo vide. Gli si fece vicino», prendendosene cura - qualcuno penserà, in maniera addirittura esagerata - facendosi persino servo di quel poveretto. Ed ecco la domanda finale di Gesù al Dottore della Legge, esponente della nomenclatura religiosa del tempo: «Chi di questi tre – il sacerdote, il levita e il samaritano - ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» Da rilevare che il Dottore della Legge aveva chiesto a Gesù: «Chi è il mio prossimo?» E la risposta è: «Quello che ha avuto compassione», in quanto il prossimo non è colui che viene amato, ma colui che ama. È evidente che Gesù riesce a mettere con le spalle al muro in suo interlocutore dimostrando, ancora una volta d’essere il Figlio di Dio per la sapienza del suo insegnamento. Capite bene che il pensiero di Nostro Signore è anni luce distante dall’interpretazione che di questi tempi viene data, molto spesso, alla solidarietà cristiana e ad ogni genere d’incontro con l’alterità. Una solidarietà, quella di cui parla Gesù, che comunque, nel perimetro dell’OPBG, trova un suo felice riscontro nell’attenzione incondizionata ai piccoli pazienti. Questa è la sfida quotidiana di cui si fanno interpreti i nostri medici, infermieri e operatori sanitari: essere prossimi ai piccoli ammalati, nella cristiana certezza che, come leggiamo nel libro degli Atti degli Apostoli, 20,35: «nella vita c’è più gioia nel dare che nel ricevere».

4/8/2021

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